Dal primo gennaio 2024, con l’approvazione definitiva della normativa europea (Reg. UE 2021/2117), l’Italia ha formalmente aperto alla produzione e commercializzazione di vini dealcolati e parzialmente dealcolati, ovvero prodotti con un contenuto di alcol rispettivamente inferiore allo 0,5% e fino a un massimo dell’8,5%. La normativa è chiara: non è possibile ottenere versioni dealcolate di vini a denominazione di origine (Doc, Docg, Igt), ma il mercato, nonostante questa esclusione, si prepara a crescere rapidamente.
Secondo i dati presentati dall’Osservatorio del Vino UIV-Vinitaly, in occasione del Vinitaly 2025, il valore globale del comparto No-Lo (no alcohol e low alcohol) è oggi stimato in 2,4 miliardi di dollari, e si prevede che raggiungerà 3,3 miliardi entro il 2028, con un tasso di crescita medio annuo (CAGR) dell’8% a valore e del 7% a volume. In un contesto in cui il vino tradizionale è sostanzialmente stabile (-0,9% a volume, +0,3% a valore), questa nuova categoria rappresenta una delle poche vere aree di espansione concreta.
La produzione italiana di vini dealcolati è attesa in forte aumento nel corso del 2025, con una marcata preferenza per le versioni completamente dealcolate (83% del totale), in particolare spumanti e bianchi frizzanti. È interessante notare come il consumo sia ancora marginale nel nostro Paese (0,1% del mercato vinicolo), ma con stime di crescita che parlano di un passaggio da 3,3 a 15 milioni di dollari nei prossimi quattro anni, con un CAGR italiano atteso del 47,1%.



