Ginepro e biodiversità: il boom del gin made in Italy

Pare che tra il personale di servizio di Buckingham Palace circoli la convinzione che a rendere le donne della famiglia reale così longeve sia il gin. Certamente la Regina Madre, scomparsa nel 2002 a 101 anni, amava bere quattro drink al giorno e – a quel che si dice – anche Elisabetta II aveva un’ innocente e inossidabile passione per il gin tonic. Una consuetudine quotidiana che, secondo le cronache di corte, ha dovuto abbandonare con grande dispiacere solo negli ultimi mesi di vita. Un piccolo rituale discreto che, con il garbo e l’ironia britannici, ha accompagnato un’intera epoca.

Ma cos’è davvero il gin? È un distillato aromatico, ottenuto da un fermentato di cereali, la cui anima risiede nel ginepro – elemento obbligatorio per legge – e il cui carattere si definisce attraverso una selezione libera di botaniche (erbe, radici, spezie, fiori) lasciate in macerazione. Una ricetta che, nelle mani di un distillatore esperto, diventa una tavolozza espressiva quasi illimitata.

Il gin italiano oggi: botaniche e fantasia

La storia del gin ha attraversato tutta l’Europa. Il distillato più amato dalle regine inglesi è nato forse nel Giardino dei Semplici della scuola medica salernitana, intorno al XIII secolo, non con uno scopo “ricreativo” ma con il proposito di stabilizzare le proprietà del ginepro in una medicina facilmente conservabile e trasportabile. La ricetta fu messa a punto verso la metà del Seicento in Olanda e poi spopolò in Inghilterra, vuoi per la presenza di cereali da destinare alla distillazione, vuoi per il divieto di importare spirits stranieri, in particolare quelli prodotti dagli odiati francesi. Il gin conquistò presto tutto il regno, tanto da diventare parte del salario degli operai: le conseguenze non furono eccezionali, come è facile immaginare.

Oggi la passione per il gin sta tornando in Italia: non tanto (non solo) per un aumento dei consumi, quanto piuttosto per il fermento creativo che negli ultimi anni ha portato lo status del gin da distillato marginale a fenomeno culturale, fino a farlo diventare uno dei simboli più vivaci del bere contemporaneo. E se una volta i riferimenti erano quasi esclusivamente inglesi, oggi a dominare la scena ci sono oltre 800 etichette italiane, con produzioni che coprono l’intero territorio nazionale e che fanno della biodiversità uno dei loro principali punti di forza.

Tra le botaniche più utilizzate dai produttori italiani spiccano la scorza d’arancia amara, la salvia sclarea, il rosmarino, la lavanda, l’elicriso e la camomilla, ma anche note più audaci come il pepe rosa, le foglie di ulivo, il basilico genovese, la menta piperita, il limone della Costiera, il cappero selvatico, i fiori di sambuco o le bacche di mirto. Ogni territorio ha la sua voce, ogni ricetta una firma personale. Non a caso, in Italia, questa libertà compositiva ha trovato terreno fertile: tra le colline piemontesi e le coste pugliesi, tra gli aromi alpini e i profumi mediterranei, ogni produttore ha saputo raccontare un pezzo di territorio, una sfumatura di gusto, un’identità artigianale.

Un dato interessante – e forse poco noto – è che l’Italia è sempre stata una patria del ginepro. È qui che cresce spontaneo e abbondante, è qui che da secoli viene utilizzato in cucina, in erboristeria, in liquoreria. I distillatori italiani non hanno dovuto importare una tradizione, hanno semplicemente riscoperto e valorizzato una materia prima già parte della nostra cultura.

Tipologie di gin e cocktail a base di gin

Le tipologie di gin più comuni includono il London Dry – secco, deciso, essenziale – caratterizzato da una distillazione unica e dall’assenza di aromi aggiunti dopo il processo. È la versione più classica, quella che meglio si presta a un uso versatile in miscelazione. Accanto a questo, il Distilled Gin permette una maggiore libertà creativa, prevedendo distillazioni multiple e l’aggiunta di botaniche anche successivamente. Esistono poi gin Compound, ottenuti per semplice infusione di botaniche senza distillazione, e gin New Western, in cui le note del ginepro non sono predominanti ma giocano in equilibrio con gli altri ingredienti. Sempre più diffusi anche i barrel aged gin, affinati in botte, che acquisiscono colore, morbidezza e note speziate, e i cosiddetti contemporary gin, infusi a freddo e spesso pensati per evocare un bouquet floreale o fruttato.

Un ventaglio ampio che ha fatto breccia soprattutto nei cocktail bar, luogo privilegiato di consumo per il pubblico italiano. A differenza di quanto accade in altri Paesi, dove il gin si beve anche liscio o come aperitivo fine a sé stesso, in Italia viene consumato quasi esclusivamente all’interno di drink, con il gin tonic in testa a tutte le classifiche (ma si trova il gin anche nel Negroni, nel Martini Cocktail, nel Gin Fizz o nel White Lady, giusto per citare i più famosi).

Nella dinamica frizzante e competitiva del gin contemporaneo, un ruolo cruciale lo giocano anche le bottiglie. I produttori italiani hanno investito moltissimo sull’identità visiva del prodotto, scegliendo vetri spessi, trasparenze opache o satinate, chiusure in legno naturale, etichette illustrate e serigrafie complesse. Ogni bottiglia nasce (o dovrebbe nascere) per essere coerente con l’identità del prodotto e le sue caratteristiche: l’origine geografica, la filosofia del produttore, l’universo sensoriale del contenuto. C’è chi opta per forme squadrate e severe, chi predilige linee morbide ed eleganti, chi inserisce dettagli tattili o giochi grafici. Il risultato è una scena di design che arricchisce il prodotto e che gioca un ruolo chiave anche nella scelta da parte del consumatore, soprattutto nel canale horeca e nei locali di fascia alta.